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Nel secondo dopoguerra, una serie di mostre sull'arazzeria francese aveva fatto conoscere anche da noi il rinnovamento dell'arte dell'arazzo legato oltralpe all'opera di Jean Lurçat. A Roma la tradizione delle arazzerie pontificie attive presso il San Michele a Ripa era stata raccolta dalla famiglia di arazzieri Eroli, che negli anni Sessanta realizzano gli arazzi "da parata" per i ventidue Rioni della citta', e successivamente arredano alcune navi della flotta Lauro. Infine - ed e' il precedente piu' diretto del concorso del 1970, che prevede espressamente tre arazzi "ad alto liccio" tra le opere d'arte per la nuova Biblioteca nazionale - ci si avvale di grandi arazzi su disegno di Mario Sironi e Felice Casorati per l'arredo del transatlantico Leonardo da Vinci, e poi per le due navi gemelle Michelangelo e Raffaello l'Arazzeria Scassa di Asti realizza altri grandi arazzi disegnati da alcuni artisti di primo piano, tra cui Capogrossi. Insieme agli Eroli e agli Scassa in Italia operava a questi livelli l'Arazzeria Pennese, un consorzio artigiano che guardava alla secolare tradizione tessile abruzzese, diretto dal professor Fernando De Nicola, che con gli artisti Afro e Capogrossi si aggiudico' il concorso del 1970. A conferma di un nuovo e vitale connubio tra arte moderna e arazzeria, pochi anni dopo, nel 1975, a Penne furono realizzati sei arazzi da modelli originali di Giacomo Balla, forniti dalle figlie; e numerosi artisti contemporanei vollero tradurre le loro opere in "pittura tessuta". Dopo gli ultimi difficili decenni, una mostra-laboratorio organizzata dal Museo di arte moderna e contemporanea di Penne nel 2012 ha rilanciato il progetto di far rivivere l'Arazzeria, che dal maggio 2014 e' nuovamente attiva. L'arazzo di Capogrossi per la Biblioteca nazionale si basa sull'opera Superficie 681, del 1963. Stato di conservazione: buono.
