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Il dipinto raffigura tre amici di Bossi che sono stati identificati, non senza incertezze in Gaetano Cattaneo, Giuseppe Taverna, e Carlo Porta. L'opera ha, così intesa, grande valore documentario: quasi una "fotografia" della classe intellettuale di Milano nel primo decennio del XIX secolo. E' probabile una datazione al 1809, e a conferma di tale data era una scritta sul retro del dipinto riportata da Nicodemi (1915, p. 145), oggi non più leggibile. La data è secondo Matteo Ceriana perfettamente congrua al periodo tardo del pittore. Il cromatismo tipico di questa sua tarda produzione, caratterizzato da un colore spento e bruciato, quasi una monocromia, rialzato solo dai bianchi delle camicie e delle cravatte, ed evidentemente già preromantico, lasciò sconcertato persino l'amico Cattaneo (Cattaneo, 1885, p. 52). La maniera veloce e sprezzante che Bossi trae da certa pittura seicentesca e l'interesse per la pittura veneta sono qui altrettanto evidenti. Su Bossi esistono studi recenti, quali quelli di Rovi (1982), Lattuada (1998), Ceriana (1999).Questo ritratto di gruppo, attraversato da una inquietà intensità già romantica, non a caso apprezzato da Hayez, che ne fu ispirato nel suo "Autoritratto con Giovanni Migliara, Pelagio Palagi, Tommaso Grossi e Giuseppe Molteni", in un certo senso racchiude nei volti così espressivi e ravvivcinati dei quattro amici, la forza di un sodalizio intellettuale e affettivo di cui abbiamo testimonianza viva nelle "Memorie" del Bossi, pagine diaristiche cui il pittore affida il racconto della propria vita pubblica e privata negli otto anni che precedono la sua prematura morte. Forse proprio la suggestione di riconoscere nel gruppo un'immagine emblematica dei circoli intellettuali di quegli anni, indusse agli inizi del Novecento Giorgio Nicodemi ad apporre al dipinto il titolo di "Cameretta portiana", riferendolo erroneamnete alla società di amici e letterati che iniziarono a riunirsi nella casa del Porta solo a partire dal 1816, successivamnte cioè alla morte del Bossi.